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mercoledì 2 ottobre 2013

Rigenerare l’Italia Equità fiscale per il welfare, il lavoro, lo sviluppo dei territori Relazione di Giuseppe Guerin

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Rigenerare l’Italia
Equità fiscale per il welfare, il lavoro, lo sviluppo dei territori
Roma 19 settembre 2013
Aula del Palazzo dei Gruppi Parlamentari - Via di Campo Marzio, n. 78
Relazione di Giuseppe Guerini
Portavoce dell’Alleanza delle Cooperative Italiane Settore Sociale
Care cooperatrici, cari cooperatori, Autorità, illustri ospiti, amici, colleghi,
voglio innanzitutto ringraziare tutti voi per la partecipazione ai lavori di questa mattina.
Ringrazio la Camera dei Deputati per l’ospitalità, col piacere di poterlo fare direttamente alla Vice
presidente On. Marina Sereni che è qui con noi oggi; un ringraziamento anche al Senatore Tito Di
Maggio per aver reso possibile lo svolgimento dei lavori in questa sede pubblica così prestigiosa.
Questa ospitalità, per noi, assume anche una valenza simbolica poiché siedono oggi qui, dentro le
Istituzioni, i dirigenti dell’Alleanza delle Cooperative Italiane del Settore sociale, ovvero
cooperatori sociali che, da sempre, hanno inteso la loro come un’attività, che per obiettivi e
contenuti, ha una forte vocazione pubblica, poiché ha lo scopo di costruire e garantire politiche di
interesse generale, così come previsto dall’articolo 1 della legge che ha istituito le cooperative
sociali.
Ecco perché oggi siamo qui. Fedeli alla nostra missione, noi tutti, dirigenti delle cooperative sociali,
vogliamo portare il nostro lavoro nel cuore delle Istituzioni democratiche del Paese con il preciso
intento di mettere al centro dell’attenzione politica l’attività che, da anni, tutti noi realizziamo nel
quotidiano per il bene del Paese ed a sostegno, innanzitutto, delle persone più deboli, più esposte,
più sole.
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Tutte le nostre attività, come il lavoro di cura, l’impegno sui temi educativi, nell’assistenza,
l’inserimento lavorativo delle persone svantaggiate e tante altre ancora, danno a noi tutti il
coraggio necessario per affermare che il nostro primo desiderio ed il nostro principale compito è
quello di impegnarci per “Rigenerare l’Italia” con il nostro stile, con il nostro peculiare modo di
intraprendere attivamente la solidarietà e di promuovere l’autorganizzazione delle persone
intorno ai loro bisogni.
E’ questo il nostro modo di interpretare l’Impresa Sociale. Fare della solidarietà un valore
imprenditoriale è il nostro desiderio e il nostro saper fare; mettere in gioco noi stessi nella
relazione con l’altro per promuoverne l’emancipazione è il nostro rischio d’impresa.
Grandi rischi, grandi desideri per un progetto concreto di tante persone che hanno investito nelle
cooperative sociali italiane. Tante, tantissime persone, ed i dati lo dimostrano.
Il Censimento ISTAT certifica che il settore più dinamico nel decennio 2001 – 2011 è proprio il
nostro, quello della cooperazione sociale.
Abbiamo fatto registrare, e dobbiamo esserne orgogliosi, le performance migliori rispetto a tutto il
panorama imprenditoriale italiano, ma anche rispetto a tutto il non profit. In questo decennio il
numero delle cooperative sociali è cresciuto del +98,5%, da 5.674 ad 11.264 coop sociali, mentre la
crescita dell’occupazione è stata ancora superiore, ovvero del + 114,9%.
Oggi gli occupati sono 365.006, i soci volontari sono 42.368. Rispetto all’incremento complessivo
degli occupati nel non profit verificatosi tra il 2001 e il 2011 la cooperazione sociale ha contribuito
con il 56,5%.
In questo arco temporale di crescita occupazione limitata, la nostra cooperazione sociale ha
contribuito per il 38% al saldo occupazionale complessivo in Italia. E lo abbiamo fatto garantendo
la tenuta della coesione sociale del nostro Paese, anche e soprattutto in questi anni di crisi.
Abbiamo stimato in circa 7 milioni le persone utenti che si interfacciano quotidianamente con i
nostri servizi. Siamo oramai una grande infrastruttura di welfare, di politiche attive del lavoro, di
sviluppo locale, siamo certamente la più grande rete d’impresa sociale d’Europa ed una delle più
significative al mondo.
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Forse anche per questo, l’interesse dell’Europa per le Imprese Sociali è cresciuto in modo
esponenziale. E noi siamo quotidianamente in Europa a dimostrare che la più peculiare delle
imprese sociali è proprio la cooperativa sociale secondo il modello Italiano.
Negli ultimi anni a livello europeo, le più importanti iniziative di promozione dell’impresa sociale
ci vedono pienamente coinvolti.
Con l’Azione della Commissione Europea dell’ottobre 2011, l’impresa sociale è entrata tra le leve
della strategia europea per uscire dalla crisi e per promuovere una crescita intelligente, sostenibile
e inclusiva (Europa 2020).
Entro quest’anno saranno approvate le nuove direttive europee su appalti e concessioni con
misure specifiche per le imprese sociali di inserimento lavorativo e saranno finalmente
riconosciute le clausole sociali sulla base del modello previsto dall’art. 5 della legge 381 del 1991
sulle cooperative sociali. Inoltre, la direttiva prevede l’obbligo di affidare gli appalti di servizi
socio sanitari con la formula dell’offerta economicamente più vantaggiosa e non col massimo
ribasso. Sulla partita delle clausole sociali per l’inserimento lavorativo dopo l’approvazione della
legge 381, l’Unione Europea aveva avviato una procedura di infrazione che aveva portato l’Italia
ha modificare le previsioni sugli affidamenti.
Noi italiani, in questo caso, non ci siamo fatti intimidire perché avevamo ragione. Era necessario
che fosse l’Europa a cambiare posizione e così è successo. Ora quella norma italiana, che 20 anni fa
si riteneva violasse la concorrenza, è stata pienamente recepita e diventerà una previsione della
Direttiva Europea sugli appalti e sulle concessioni. Ciò conferma la nostra grande specificità
cooperativa e le potenzialità della nostra interpretazione di non profit e di impresa sociale. Ma
conferma anche che se le nostre idee sono buone, il dibattito europeo le sa recepire.
Le nostre imprese sono anche uno dei cantieri più importanti di innovazione sociale.
Oltre 60% delle cooperative sociali italiane ha realizzato nel corso degli ultimi tre anni attività
innovative. Tra le cooperative che innovano il 37% ha sviluppato nuovi servizi, il 28% ha
individuato nuovi utenti e il 60% ha attuato misure di miglioramento organizzativo interno.
Il 59,7% delle cooperative sociali copre nuovi rischi, che risultano scoperti dal welfare
“istituzionale”. In modo sbagliato ed ingeneroso, Eurofound, in una recente ricerca sulla “Social
Innovation” ha definito il nostro Paese caratterizzato da una “scarsa propensione ad innovare”,
forse perché troppi nelle istituzioni, nelle università, sui giornali si affannano alla ricerca di
imprese sociali immaginarie e non vedono quelle reali che operano quotidianamente nei territori.
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Per questo serve che noi tutti facciamo di più, comprendo che chi innova non ha molto tempo per
comunicare quanto di buono sta facendo, ma così facendo rischiamo che la distanza tra chi parla e
non fa e chi fa ma non parla, cresca!
Siamo anche un motore di sviluppo del welfare, protagonisti attivi dei processi di cambiamento e
di riorganizzazione della spesa sociale che stanno caratterizzando il sistema di protezione sociale
del Paese.
In forza della nostra natura giuridica privata, ma orientata ad una funzione pubblica, e in forza
del fine sociale, noi siamo particolarmente adatti a svolgere le funzioni di innovazione del sistema
dei servizi, perché incorporiamo, per definizione, l’attenzione ai bisogni.
Al contempo la dimensione economica ed imprenditoriale del nostro agire ci spinge a porre
grande attenzione all’uso delle risorse materiali ed immateriali. Nelle espressioni più autentiche, le
nostre imprese, con il coinvolgimento delle comunità locali, ci consentono di fare emergere nuove
risorse aggiuntive in termini di capitale sociale territoriale.
Noi tutti siamo, quindi, sulla frontiera del cambiamento, sulla frontiera dell’inclusione, sulla
frontiera dei bisogni sociali; bisogni che possono mutare, rafforzarsi, crescere in base
all’evoluzione delle problematiche sociali: la nostra propensione ad innovare è, per così dire,
incorporata nella nostra natura.
Perché una cooperativa sociale, per essere impresa di comunità, si concepisce e realizza per
soddisfare l’evoluzione dei bisogni e fornire risposte a bisogni emergenti, anche latenti, ad
esempio quelli dei giovani disoccupati o dei disoccupati di lunga durata, dei residenti in aree
svantaggiate o delle persone sole nelle grandi città, delle persone in condizione di vulnerabilità
sociale, ma anche delle sempre più crescenti esigenze di carattere relazionale, educativo, di cura,
che emergono in un ceto medio oramai sempre meno ceto e sempre meno medio.
Molti sono i nostri impegni sui nuovi percorsi del welfare: le cure domiciliari, l’integrazione
sociosanitaria, la riabilitazione, i servizi di sostegno alle famiglie, le tante esperienze di sanità
leggera, che portano un’idea di “salute” che si fonda sulla capacità di presa in carico delle fragilità.
Molte sono le innovazioni in corso, come la riqualificazione urbana e territoriale, il turismo sociale,
l’agricoltura sociale, l’alleanza con l’alto di gamma delle imprese profit, le attività di sviluppo
locale, le sperimentazioni di recupero di mestieri e territori.
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Tutto ciò ha alla base la nostra vocazione a lavorare sulle potenzialità nascoste, di persone,
territori, settori. Tutto ciò ha a che fare con il nostro desiderio di valorizzare i beni relazionali per
restituire alle comunità anche l’uso di beni materiali, come in alcune interessanti esperienze di
riqualificazione e riuso di aree dismesse o nel caso dei beni sequestrati al crimine organizzato.
Innovazione significa per noi tutti anche l’allargamento del focus degli interventi verso quelle
categorie di persone che non rientrano nel welfare tradizionale: i “nuovi rischi sociali”. I gruppi
sociali interessati dalle conseguenze dei cambiamenti nel mercato del lavoro e nei rischi connessi
con la precarietà dell’occupazione da un lato e coloro che vivono le modificazioni della struttura
della famiglia: le donne sole con figli, i genitori separati, i minori non accompagnati, i lavoratori
fragili.
Le consolidate certezze vengono meno e il sistema welfare deve essere ripensato anche in funzione
dei nuovi bisogni che vanno affrontati in una prospettiva non solo assistenziale ma anche e
soprattutto promozionale. Noi dirigenti delle cooperative sociali cerchiamo sempre di dare
risposte a queste domande prendendoci carico non solo delle persone svantaggiate ma anche di
interi territori svantaggiati.
Siamo un sistema sociale, imprenditoriale, economico, di rappresentanza che crea occupazione
mettendosi al servizio della comunità, facendo della Solidarietà una delle nostre parole chiave, una
parola che usiamo con orgoglio, insieme a Papa Francesco, che la scorsa settima, in visita al centro
Astalli di Roma ha definito la”Solidarietà” questa parola che fa paura per il mondo più sviluppato.
Cercano di non dirla. E’ quasi una parolaccia per loro. Ma è la nostra parola!”
Ventidue anni fa il Parlamento Italiano ha riconosciuto e definito la funzione ed il ruolo delle
cooperative sociali, ha assegnato un quadro giuridico specifico, ed ha così aperto, la strada alla
riflessione sull’impresa sociale, oggi protagonista del dibattito economico a livello europeo.
Il legislatore ci ha assegnato il compito di “perseguire l’interesse generale della comunità locale
alla promozione umana e all'integrazione sociale dei cittadini”.
Oggi vogliamo “rinnovare” questo patto sociale con le Istituzioni e col Paese, portare la nostra
esperienza per ribadire che siamo pronti e disponibili a giocare quel ruolo che noi tutti oggi
riteniamo indispensabile per “rigenerare” il Paese. Per risollevarlo dalle difficoltà in cui si trova,
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dopo anni di crisi economica ma, soprattutto, dopo anni in cui le divaricazioni enormi che si sono
create stanno alimentando ingiustizia sociale, diseguaglianza, disaggregazione.
Negli ultimi anni troppe volte abbiamo sentito ripetere come un mantra che occorreva mettere in
sicurezza i conti pubblici per salvare il Paese. Mettere in sicurezza i conti ha sempre voluto dire
prima e soprattutto tagliare i servizi di welfare… con l’effetto incredibile che negli ultimi 10 anni la
spesa pubblica è aumentata ed i servizi sono stati tagliati… (a quale messa in sicurezza si
riferivano?) .
A questo mantra è seguito quello dell’urgenza di rilanciare la crescita perché prima viene la
ricchezza da produrre, e poi arriverà la mano pubblica a ridistribuire le risorse con i sistemi di
welfare; il risultato è che, negli ultimi 20 anni, la ricchezza ha continuato ad accrescersi
concentrandosi nelle mani di pochi, oppure ha preso le strade dei paradisi fiscali o dei patrimoni
concentrati, mentre di crescita e sviluppo se ne è visto poco. Potremmo fare ancora altri esempi su
pensioni, redditi, distribuzione del lavoro per mostrare che molto ancora bisogna fare per
risollevare le sorti del nostro Paese perseguendo la via dell’equità.
Il terzo mantra è quello della concorrenza come valore assoluto, come principio fondamentale
intorno al quale si è tentato di costruire l’Unione Europea, facendo diventare quello che è un
concetto che appartiene all’ordine degli “strumenti” del mercato una finalità o un valore assoluto.
Occorre ribadirlo, e con forza, che la “concorrenza” è una condizione in cui realizzare regole di
mercato, ma non può essere il valore unico intorno al quale il mercato si articola.
Quindi, come tutte le condizioni, è subordinata ad una serie di valori: la libertà, l’uguaglianza, la
dignità personale, il diritto alla cura e all’educazione, il lavoro, la sicurezza, la solidarietà.
• Vogliamo allora provare a immaginarci un modello di sviluppo diverso?
• Vogliamo riconoscere che una società più equa e giusta è la condizione più favorevole per
garantire crescita, competitività e sviluppo?
• Vogliamo riconoscere che in un Paese sviluppato il sistema di welfare e di protezione sociale è
un fattore della crescita, un volano di sviluppo di importanza almeno equivalente a molti altri
settori dell’economia?
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• Vogliamo riconoscere che il mercato è libero realmente solo quando vi possono partecipare con
pari condizioni una pluralità di soggetti diversi?
Bisogna, quindi, coraggiosamente e di nuovo investire, magari prudentemente, ma certamente
evitando misure recessive o penalizzanti soprattutto per chi crea e produce valore non solo per se
ma anche per la comunità.
Dobbiamo dichiarare concluso il tempo della celebrazione dell’avidità come valore, alimentato da
Wall Street (molti ricorderanno Gordon Gekko nel film di Oliver Stone) e rimettere al centro la
solidarietà e l’equità.
Siamo convinti che un atteggiamo pubblico più orientato allo sviluppo alla fine produce anche
stabilità. Riteniamo che si può provare a guardare i conti pubblici con più attenzione e meno
immediatezza e che si possono trovare molte pieghe da analizzare con grande perseveranza, voci
di spesa sulle quali fare risparmi riqualificando la spesa pubblica per invertire la logica di
investimento delle risorse pubbliche, scegliendo ad esempio di tagliare gli investimenti che non
sono generativi, che si esauriscono nella spesa realizzata senza dare corso a sviluppi ulteriori.
Noi siamo convinti che in questa stagione più che mai la società italiana senta il bisogno di
condividere un progetto sociale con le comunità di riferimento.
Le cooperative sociali, insieme a molte altre realtà del terzo settore sono dei “Luoghi di vita” prima
che delle aziende Onlus di erogazione di prestazioni, sono contesti che “generano” coesione
sociale, relazioni, alimentano sentimenti di solidarietà e di vicinanza di cui c’è grande necessita.
Sono proprio quelli che dovrebbero essere meglio sostenuti, magari semplicemente evitando di
peggiorare il contesto in cui operano. A volte ci basterebbe che ci lasciassero lavorare!
L’impresa cooperativa sociale può e deve essere uno strumento attraverso il quale mettere
l’economia al servizio del bene comune, realizzando attività produttive di beni e servizi finalizzate
a favorire coesione sociale e integrazione.
Usiamo insieme questo potenziale. Ai decisori politici proponiamo di fare con noi questo salto di
qualità.
· Insieme possiamo affrontare la riduzione della spesa pubblica con la convinzione che è un
problema serio ma non è una condanna;
· la crisi del welfare pubblico statale, come lo abbiamo conosciuto, non è la fine del sistema di
protezione sociale;
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· la crisi dell’economia capitalistica speculativa non può essere la fine della società democratica o
la rinuncia all’ideale europeo di un modello di coesione sociale inclusiva.
Siamo, invece, convinti che la risposta alla giustizia sociale e all’equità non arriveranno più solo
dallo Stato, non mai dal mercato, ma invece possono arrivare da una “rigenerazione” di un patto
sociale che applichi il “metodo della cooperazione sociale” dove l’essere “terzo settore” non deve
essere inteso come principio ordinatore, ma come principio dimensionale.
Noi siamo e vogliamo essere la componente che può dare a Stato e Mercato la terza dimensione,
quella della solidarietà… che poi se vogliamo è quella della fraternità, senza la quale libertà ed
uguaglianza, rimangono principi asettici e spesso l’uno all’altro contrapposti …
L’Alleanza delle Cooperative Sociali in nome delle oltre 9.600 cooperative imprese sociali aderenti,
a nome degli oltre 350.000 lavoratori occupati, a tutela anche dei quasi 7 milioni di cittadini serviti,
oggi qui chiede alle istituzioni di ridefinire l’ordine delle priorità con cui affrontare i problemi
economici, del lavoro, della fiscalità, della giustizia sociale.
Ed uno dei più grossi problemi, l’elemento che più ci preoccupa, è oggi certamente rappresentato
dall’incremento dell’Iva per le attività socio sanitarie, educative e sociali che colpirà le prestazioni
rese dalle nostre imprese sociali.
A causa del provvedimento adottato dal precedente Governo, rischiamo ora di dover sostituire i
tanti segni + con tanti segni – sia sul numero di servizi, che su quello degli occupati e persino sul
numero di cooperative sociali.
Le cooperative sociali hanno pazientemente dato infrastruttura al sistema di Welfare locale del
nostro Paese, assicurando servizi per persone disabili, minori, anziani, famiglie, prevalentemente
in collaborazione con i Comuni, ma anche dove la pubblica amministrazione non arriva, o paga
con ritardi incredibili, ora su queste prestazioni rischia di abbattersi un incremento dell’aliquota
IVA che rischia di cospargere sale sulla ferita aperta di un sistema di protezione sociale
ampliamente provato e ridimensionato.
Proprio in questo momento di grave crisi e di grave minaccia per le sorti del nostro Paese, la tenuta
del sistema di coesione sociale richiede equità e giustizia.
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Il sistema di Welfare può ricevere dal modello mutualistico della cooperazione sociale un
contributo utile per avvicinare, in modo governato, la domanda organizzata e la risposta
innovativa, flessibile ed efficace, accessibile alla maggioranza della popolazione.
Le cooperative sociali complessivamente raggiungono circa 7 milioni di cittadini utenti dei servizi,
in gran parte realizzati in collaborazione con i Comuni e le Aziende Sanitarie Locali.
Tra questi cittadini, quelli direttamente colpiti dall’aumento dell’IVA, sono secondo le nostre stime
4 milioni di utenti. Su essi ricadrebbero i tagli dovuti all’aumento dell’IVA dal 4 al 10% dal 2014.
Tra essi, 2 milioni 800 mila sono minori già gravemente esposti al rischio di esclusione sociale e già
appartenenti a famiglie povere.
Mentre, oltre un milione di persone non autosufficienti vedranno ridotti i servizi di assistenza
domiciliare e le prestazioni nelle RSA.
Questi sono, secondo i nostri dati, i risultati attesi per l’adozione di questo infelice provvedimento,
e per il quale chiediamo un’assunzione responsabilità decisa ed immediata a tutte le forze politiche
del Paese.
Da questo provvedimento il Ministero dell’Economia e delle Finanze si attende entrate per 153
milioni di Euro, entrate che rischiano di non arrivare mai nelle casse dello stato, mentre è certo
l’effetto di una considerevole perdita di posti di lavoro. Siamo certi che avremo almeno 42.800
licenziamenti. Ma altri ancora saranno gli effetti negativi.
L’aumento dell’IVA allargherà l’area dell’evasione e dell’irregolarità del lavoro (la cooperazione
sociale in questi anni ha invece fatto emergere migliaia di posti di lavoro regolare nel settore
dell’assistenza); la misura produrrà un’enorme perdita occupazionale in un settore che, invece,
potrebbe dare un contributo determinante alla creazione di nuova occupazione.
Oltre a produrre gravi problemi alle famiglie, l’incremento IVA avrà l’effetto automatico di ridurre
i consumi di queste persone e, quindi, di ridurre la loro contribuzione fiscale; vi sarà comunque
spesa pubblica aggiuntiva, perché sarà necessario chiedere ed ottenere fondi per i licenziamenti
(cassa integrazione in deroga, mobilità, disoccupazione).
Secondo le analisi che abbiamo realizzato in questi mesi, si determinerà un impatto negativo per
effetto di questo provvedimento che doveva portare nuovi incassi, ma in realtà si rischia di portare
313 milioni di euro di mancati introiti per le casse dello Stato, ovvero previdenza e imposte, dovuti
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al fatto che 42.800 lavoratori perderebbero il lavoro e non verserebbero più queste tasse e i
contributi. Inoltre, la cassa integrazione da versare per questi lavoratori costerebbe altri 300 milioni
di euro.
Complessivamente tra mancati introiti e cassa integrazione i costi per lo Stato sarebbero di 645
milioni di euro. Un risultato paradossale anche a fronte di una stima di copertura finanziaria
prevista dalla legge di stabilità di 153 milioni di euro, nuove entrate peraltro virtuali perché
sarebbe solo una partita di giro dalle casse degli Enti Locali a quelle dello Stato.
In un colpo solo l’aumento dell’Iva sul welfare dal 4 al 10% provocherebbe la perdita di lavoro di
42.800 persone, un buco nelle casse dello Stato di 645 milioni di euro e la perdita di servizi per 4,3
milioni di persone in stato di bisogno. Effettivamente un capolavoro tecnico!
È stato ripetutamente detto che questo intervento è stato richiesto dall’Europa, perché violerebbe il
trattato sull’IVA, determinando un effetto distorsivo della concorrenza. A fronte di questa ipotesi,
lo scorso anno il Governo Italiano, anziché interpretare le esigenze dei tanti cittadini che ricevono i
servizi di cura delle cooperative sociali, ha ritenuto di adeguarsi alle richieste senza spendersi in
un tentativo di difesa, senza risalire alle motivazioni e al senso per cui il legislatore nel 1991 aveva
ritenuto di introdurre un regime IVA agevolato per le prestazioni di welfare rese da cooperative
sociali.
Ma occorre ribadire con forza e con chiarezza che nessuna procedura di infrazione era stata aperta
su questa vicenda dalla Commissione Europea contro l’Italia, e siamo certi che nessuna procedura
di infrazione verrebbe avviata né ora né mai se, come noi chiediamo, il Governo Italiano si
assumerà l’impegno di spiegare le ragioni politiche, sociali, economiche che rendono deleterio,
inutile e dannoso questo provvedimento…
E così sull’altare della concorrenza si è deciso che potevano essere sacrificati 4,3 milioni di utenti e
oltre 40 mila lavoratori… si è deciso, per l’ennesima volta, che la concorrenza è un valore superiore
alla cura delle persone con disabilità, all’assistenza alle famiglie, all’educazione dei minori, al
reinserimento sociale dei pazienti psichiatrici…
Ma noi confidiamo nella politica. Sappiamo che le decisioni possono cambiare, che si può
assumere un nuovo orientamento, che si possono acquisire informazioni nuove, che c’è un tempo
anche per riflettere e per fare le scelte giuste.
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Il tempo, cari amici, è questo.
E’ questo il momento dove bisogna che ciascuno si assuma una forte responsabilità: se decide di
“non cambiare” questo provvedimento, o, come chiediamo col cuore in mano, nel cambiarlo con
forza, con vigore, con lungimiranza, con visione.
Noi tutti qui presenti esortiamo il Governo ed il Parlamento ad essere Europeista convinto come lo
siamo noi, ma lo esortiamo anche ad essere fino in fondo uno Stato Membro dell’Europa, uno stato
membro...non uno Stato suddito!
Occorre ripristinare il regime IVA e, a partire da questo, impegnarci per modificare insieme alle
Istituzioni Europee nel processo che è stato avviato di rivisitazione complessiva del sistema
dell’IVA agevolata…
Infatti, è aperto a livello europeo un dossier sulle modifiche al regime IVA e alle aliquote agevolate
dove sarà importante prevedere esplicitamente per le imprese sociali la possibilità di applicare
l’IVA agevolata al 4% come previsto dalla legge italiana sulla cooperazione sociale.
L'occasione di questo incontro così importante per noi, non si limita tuttavia a rivendicare il
riconoscimento di quanto abbiamo realizzato e ad elencare i motivi per i quali riteniamo ingiusto e
dannoso l’aumento dell'IVA sulle prestazioni socio-assistenziali ed educative.
Noi vogliamo oggi lanciare anche alcune proposte di lavoro sulle quali impegnarci insieme ai
decisori politici e alle altre forze sociali del Paese per salvaguardare quel patrimonio dell'umanità
che é il "sistema di protezione sociale" .
Elenco solo alcuni punti. Consapevole io e tutti noi consapevoli che queste sono solo alcune delle
nostre sfide:
• La non autosufficienza sarà l’emergenza sociale dei prossimi anni. Mentre possiamo sperare
che lo spread migliori giorno dopo giorno, non possiamo sperare che nel 2020 in Italia gli
anziani oltre i 75 anni, che saranno 7,5 milioni, ricevano adeguate cure se non lavoriamo subito
per costruire risposte da costruire oggi.
• Aumenta a dismisura la disoccupazione giovanile. Anche questo è un dato certo che richiede
risposte, sulle quali noi abbiamo molto da dire, sia rispetto al Servizio Civile, sia rispetto
l’inserimento lavorativo, sia rispetto alle tematiche educative. Possiamo immaginarci un
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progetto che consenta alla cooperazione sociale di essere un grande incubatore e collettore per i
giovani che non studiano e non lavorano, facendo in modo che essi dentro un’esperienza come
quella del Servizio Civile, magari riorganizzato, possano entrare nelle reti di relazione. Non è
un caso se circa il 40% dei migliaia di giovani che da noi hanno sperimentato questo mix tra
ingresso soft nelle reti del mondo imprenditoriale ed acquisizione di competenze, sia ad oggi
occupato. Possiamo fare molto, dentro le politiche attive del lavoro, con questo strumento.
Siamo pronti a mettere a disposizione le nostre forze per questa emergenza.
• Aumenta a dismisura la povertà assoluta e relativa, con le famiglie povere che hanno la
necessità di presa in carico. Anche questa è una nostra sfida, così come lo è quella
dell’inclusione delle persone immigrate, dell’inserimento lavorativo delle persone
svantaggiate. Su ciascuno di tali aspetti abbiamo proposte pronte, come quelle sul modello e
sulla dimensione dei centri di accoglienza temporanea, oppure sui meccanismi di transizione
tra imprese sociali e imprese ordinarie per le persone svantaggiate.
• Aumenta terribilmente la fragilità delle famiglie e di conseguenza la fragilità dell’infanzia. Con
troppe famiglie che seppure non siano ancora povere, lo sono in termini di relazioni. Anche su
tale punto abbiamo idee, progetti, reti, strutture.
• Aumenta il degrado dei beni culturali, dei beni comuni come parchi, giardini, monumenti, aree
museali... Si può fare di più anche con proposte normative. Ci aveva provato qualche mese fa il
Ministero dei Beni Culturali affinché fossero affidati al terzo settore, in modo semplificato, beni
poco produttivi e molto costosi per la manutenzione. Ma la proposta è stata bocciata. Pensate
quanto potrebbe essere utile affidare alla collettività riorganizzata in forma di Onlus, magari
cooperativa sociale, un bene comune.
Potremmo continuare un elenco di esempi sul legame tra cooperazione sociale ed imprese profit
sul tema del welfare aziendale, o sul recupero dei mestieri o su altro ancora su cui stiamo già
innovando, in silenzio nel quotidiano.
Su tutte le grandi emergenze che attraversano il Paese e che noi cooperatori sociali incontriamo
quotidianamente nei servizi, serve uno slancio. Noi abbiamo le nostre proposte che mettiamo a
disposizione del Paese. Ed abbiamo la nostra idea di comunità, la nostra idea di investimento sulla
ricostruzione dei legami sociali. In moltissime realtà le nostre cooperative operano come
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generatori di welfare, di coesione, di socialità, di sviluppo locale, di valorizzazione dei beni
culturali, dei beni comuni. Molte sono le sfide che dovremo affrontare.
La nostra visione di economia e il nostro essere imprese sociali, porta nelle comunità una proposta
di equità concreta e reale, vorremo che questa equità e questa sussidiarietà informassero
maggiormente anche la dinamica fiscale; per questo non ci stanchiamo di dire che occorre tornare
a parlare di persone, di famiglie, di lavoro e non solo di "cose" di proprietà.
Il dibattito che per mesi ha bloccato la politica sull'IMU è esemplare di come troppe volte negli
ultimi anni abbiamo parlato di oggetti, di cose, di immobili e non di persone, di significati, di
esistenza...
Vorremo uno Stato che davvero prova ad investire nel sostenere le famiglie, premiando chi
investe nella cura prima che nei consumi.
Negli ultimi anni molti sono stati gli incentivi fiscali, addirittura quasi per ogni bene materiale,
dalle auto ai frigoriferi, dai pannelli solari alle finestre, mentre detrazioni e deduzioni per le
famiglie che investono nella cura dei loro cari: anziani, disabili o bambini… rimangono inchiodate
su cifre quasi irrilevanti.
Vorremmo aprire un dibattito su tutto ciò e portare le nostre concrete proposte, che abbiamo nel
cassetto oramai da molto. Ma sappiamo anche che bisogna fare il primo passo. Ed oggi il primo
passo è eliminare il sasso dell’IVA, un macigno sulla testa delle famiglie, dei Comuni, dei servizi
socio-assistenziali, educativi e sanitari.
Portiamo il cuore oltre l’ostacolo, noi tutti qui presenti che rappresentiamo, ciascuno per la sua
parte, un pezzo dell’infrastruttura democratica del Paese, un pezzo delle Istituzioni del Paese, noi
tutti che decliniamo con soggettività diverse una funzione pubblica. Possiamo insieme tutti noi
scrivere nuove pagine, meravigliose pagine, di politiche concrete per le famiglie, le comunità, le
persone. Dobbiamo farlo. Noi ci impegneremo a farlo. Noi non rinunceremo a farlo!
Grazie.

QUESTO E' LO SCENARIO IVA PER LE COOPERATIVE SOCIALI

Importanti novità per il mondo del non profit. A partire dal 1° gennaio 2013, le prestazioni socio assistenziali rese direttamente nei confronti dei fruitori saranno assoggettate al regime di esenzione IVA per le cooperative sociali e loro consorzi ONLUS di diritto e le cooperative generiche riconosciute ONLUS. Per le altre cooperative non costituite ai sensi della L. n. 381/1991 nonché prive della qualifica di ONLUS, l’aliquota IVA sarà invece quella ordinaria del 21%. Chiariamo meglio questa novità contenuta nella circolare n. circolare 12/E del 3 maggio 2013.
La Legge di stabilità (Art. 1commi da 488 a 490, L. n. 228/2012) ha modificano la disciplina ai fini dell’imposta sul valore aggiunto delle prestazioni di assistenza e sicurezza sociale rese dalle cooperative e dai loro consorzi, contenuta nel n. 41-bis della Tabella A, parte II, allegata al D.P.R. 26 ottobre 1972, n. 633.
Il citato art. n. 41-bis prevede l’applicazione dell’aliquota agevolata del 4% alle prestazioni socio-sanitarie, educative, comprese quelle di assistenza domiciliare o ambulatoriale o in comunità e simili o ovunque rese, in favore degli anziani ed inabili adulti, di tossicodipendenti e malati di AIDS, degli handicappati psicofisici, dei minori, anche coinvolti in situazioni di disadattamento e di devianza, rese da cooperative e loro consorzi, sia direttamente che in esecuzione di contratti di appalto e di convenzioni in generale”. Lo stesso comma prevede l’introduzione del n. 127-undevicies nella parte III della medesima Tabella, ai sensi del quale sono ora soggette all’aliquota del 10% “le prestazioni di cui ai numeri 18), 19), 20), 21) e 27-ter) dell’articolo 10, primo comma, rese in favore dei soggetti indicati nello stesso numero 27-ter) da cooperative sociali e loro consorzi in esecuzione di contratti di appalto e di convenzioni in generale”. Si tratta delle prestazioni di carattere sanitario (diagnosi, cura e riabilitazione), di ricovero e cura, di carattere educativo, assistenziale e socio-sanitario (numeri 18, 19, 20, 21 e 27-ter dell’art. 10 del DPR 633/72), che nel contesto previgente potevano essere svolte dalle cooperative sociali in regime di esenzione IVA (in qualità di ONLUS di diritto) o in regime di imponibilità IVA con aliquota del 4%, a scelta secondo il criterio di convenienza (art. 1, comma 331, primo e secondo periodo, della L. 296/2006).
L’effetto combinato dell’abrogazione dell’art. 41-bis, unitamente alla soppressione della scelta del regime più favorevole in alternativa tra IVA/Esenzione, nonché all’introduzione dell’aliquota IVA al 10%, porterà ad un mutamento sostanziale del regime IVA secondo una delle seguenti possibilità.

IVA Cooperative sociali




















Il comma 490 della Legge Finanziaria 2013 stabilisce l’entrata in vigore delle nuove disposizioni, che si applicheranno “alle operazioni compiute in base ai contratti stipulati dopo il 31 dicembre 2013”. Pertanto fino a quando sarà efficace un contratto stipulato precedentemente, continuerà ad applicarsi l’aliquota del 4%. Ai rinnovi, espressi o taciti, nonché alle proroghe di contratti già in essere tra le parti successivi alla predetta data del 31 dicembre 2013 si applica il nuovo regime.
Si ribadisce che dal 1° gennaio 2013, le prestazioni rese direttamente nei confronti dei fruitori saranno assoggettate al regime di esenzione per le cooperative sociali-ONLUS e per le cooperative-ONLUS, mentre per le altre cooperative l’aliquota IVA sarà quella ordinaria del 21%. Inoltre, laddove la cooperativa sociale renda le prestazioni in argomento sia direttamente nei confronti di soggetti che ne usufruiscono, sia in base a contratti di appalto o convenzioni, la stessa dovrà applicare contemporaneamente e rispettivamente il regime di esenzione e quello di imponibilità ad aliquota ridotta, con inevitabile calcolo delle percentuali di detrazione.
Le cooperative che operano al di fuori di appalti o convenzioni dovranno attentamente valutare le conseguenze della modifica legislativa, in quanto al regime di esenzione fa naturalmente seguito l’indetraibilità dell’imposta assolta sugli acquisti destinati a tali operazioni attive, che si configurerà quindi quale costo.
Nicolò Cipriani – Centro Studi CGN